Fiori neri

Fiori neri

Quarto appuntamento con l’autore BookTribu. Abbiamo letto racconti e poesie, oggi vi proponiamo un racconto che è un po’ poesia e un po’ prosa. L’autore è Luca Minardi, premio Romanzo storico di quest’anno, che accantona per un momento la storia e ci regala un tema sì delicato ma trattato con estrema dolcezza. 

Ho trovato quel giorno il fiore più bello del mondo

mentre passeggiavo per i giardini della mia città.

La vidi, era in piena fioritura,

i suoi capelli erano onde nere,

gli occhi profondi e luminosi come le rare perle scure,

la pelle lucente come il chiaro di luna,

un sorriso che faceva sciogliere il cuore.

Ricordo la prima volta che ci siamo salutati

e balbettavo come uno scolaretto!

Ricordo come mi sono innamorato di lei

e come il mio sentimento cresceva ogni volta.

Ricordo il contatto casuale con le sue mani fini

e il rossore che attraversò i nostri volti.

Ricordo quando ho potuto stringere quelle mani.

Quando le nostre labbra si sono sfiorate. 

Quando i nostri respiri erano uno solo.

Quando i nostri cuori battevano all’unisono.

Quando potevamo sussurrarci dolci parole 

d’amore.

E poi qualcuno da lassù ci mandò un regalo

anzi due, che crebbero insieme nel grembo del mio fiore.

Ero felice, ero in Paradiso

io e lei ci eravamo sommati 

e uno più uno avrebbe fatto quattro.

Ma il giardino dell’Eden non durò per sempre.

Un serpente maligno, un male che non si poteva combattere 

era in agguato.

Uscì dall’Inferno e il suo veleno colpì 

il mio fiore.

Non se ne accorse all’inizio, e neanche io

ma poi cominciò ad appassire…

Osservavo la vita fluire via da lei 

e non potevo fare niente.

Sentivo i medici dire che era tutto inutile

e non potevo fare niente.

Vedevo la sua pelle assumere un pallore mortale

e non potevo fare niente.

Mi accorgevo che si stava spezzando

e non potevo fare niente…

La sentivo pregare, invocare la Madonna, gli angeli e i Santi,

io invece maledicevo Dio. 

“Dove sei? 

Perché non scendi e ci aiuti?

Perché ci hai dato tutta questa felicità 

se poi ce la vuoi togliere così?”

“Prendi me! Prendi la mia vita, 

non mi serve senza lei!” 

Lo imploravo.

Ma sentivo solo silenzio. 

Urlavo.

Ma sentivo solo silenzio.

Lui però stava già rispondendo,

solo che io non lo sentivo.

Lei invece sì,

l’ha sentito.

Sfiorì e morì fra le mie braccia

ma la morte non aveva vinto,

aveva perso contro il miracolo della vita.

Lei riuscì a vederli,

riuscì ad abbracciarli,

riuscì a dire “ciao, piccoli miei!”

Che luce aveva negli occhi!

Che luce aveva quando sorrise radiosa!

Che luce aveva quando mi disse di prendermi cura di loro.

Poi si spense.

Piansi per tristezza.

Piansi per felicità.

Il fiore non c’era più 

ma mi aveva lasciato il regalo più bello:

Voi, frutti dolcissimi di amore e di sacrificio.

Il poeta finì di leggere e guardò i figli con le lacrime agli occhi. Li aveva visti crescere, fino a diventare maturi. Così simili alla loro madre, con i capelli mossi e neri, con la pelle un po’ pallida ma con gli stessi occhi azzurri del padre. Erano così simili eppure così diversi. 

Francesca cercava di farsi forza e tratteneva le lacrime. Era forte, come sua madre. Giovanni invece piangeva, assomigliava un po’ di più a lui, lui che mentre leggeva non era riuscito a non far tremare la voce. 

«Voglio farvi vedere una cosa» disse allora il poeta. Trasse fuori dalle pagine di un libro due bustine di plastica: dentro c’erano due fiori neri schiacciati e rinsecchiti. 

«Io e vostra madre li abbiamo raccolti durante uno dei nostri primi appuntamenti» spiegò. «A essere precisi li abbiamo rubati a una mostra di fiori esotici che si teneva nel parco della nostra città, dove ci siamo incontrati per la prima volta…» Quindi li tolse dalle buste per farli vedere meglio ai figli. «Sono un raro tipo di fiori neri. Io e vostra madre spesso li guardavamo e ci ricordavamo di quanto era grande il nostro amore. Bastava solo un’occhiata per dimenticarci  di tutti i problemi e i litigi… Adesso però hanno un altro significato per me». La voce gli si ruppe per l’emozione e a Francesca sfuggì finalmente una lacrima. 

«Questi fiori mi ricordano lei e il suo sacrificio» continuò. «Quando si ammalò le dissero che la gravidanza era rischiosa per la sua vita e che se l’avesse interrotta avrebbe avuto la possibilità di sopravvivere… Lei non ne voleva sapere, chiese solo se c’era la possibilità di farvi nascere. Anche se avrebbe comportato molto dolore e cure pesanti per il suo fisico, non se lo fece ripetere due volte. Quando pregava non lo stava facendo per lei, ma per voi, per me, per noi…»

Tenendoli delicatamente consegnò i due fiori ai due gemelli, uno a testa. «Voglio che li teniate voi e che pensiate a lei ogni volta che li guarderete. Pensate al fatto che vi ha amato così tanto da donare la sua vita per voi. Ricordatela sempre. Pensate che sta vegliando su di voi e tenete il suo ricordo vivo nel vostro cuore come sto facendo io da quando siete nati. E come continuerò a fare per il resto della mia vita di poeta da strapazzo…» 

Poi non ci fu più spazio per le parole. Ci furono solo lacrime e abbracci. 

Il fiore non c’era più 

ma mi aveva lasciato il regalo più bello:

Voi, frutti dolcissimi di amore e sacrificio.



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